Arte in TV by AA.VV

Arte in TV by AA.VV

autore:AA.VV. [AA.VV.]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
ISBN: 978-88-6010-207-2
editore: Johan & Levi
pubblicato: 2017-10-18T16:46:09+00:00


Massimiliano Panarari

C’era una volta l’arte proposta dal Servizio pubblico. Un binomio strettissimo e una coppia di fatto, visto che, come noto, la neonata RAI esordì il 3 gennaio 1954, al momento della messa in onda, con una “mitica” puntata della trasmissione Le avventure dell’arte (un nome, un programma…) consacrata a Giambattista Tiepolo. Una preclara manifestazione della vocazione e dell’intento pedagogico del broadcasting pubblico alla metà del secolo passato, quando la personalizzazione non aveva ancora iniziato la sua marcia trionfale e irresistibile (almeno nelle forme da noi attualmente conosciute e dilagate in maniera incontenibile). E, nel solco di quel documentario pionieristico, e all’insegna dello stesso paradigma e della medesima volontà educativa, si susseguiranno infatti numerosi programmi, da Almanacco a L’Approdo, da Arte e paesaggio alle Avventure di capolavori, fino a Caccia al quadro e Grandi mostre. Trasmissioni nelle quali il “tocco autoriale” si farà avvertire, dal momento che annoverarono tra i propri artefici figure importanti della patria cultura, da Umberto Eco ad Alberto Arbasino, fino a Cesare Brandi e Federico Zeri, e che si caratterizzarono per quello che potremmo etichettare e categorizzare come un “taglio gutenberghiano” nell’approccio all’opera d’arte. La televisione si manteneva allora canale di diffusione “neutro”, sorta di pagina bianca da riempire di contenuti, senza la messa in campo e l’ostensione dei meccanismi della sua media logic interiore. I programmi artistici della fase pedagogica del nostro Servizio pubblico apparivano assimilabili a una rivista o a un giornale dell’arte visiva, dove le immagini venivano passate in rassegna seguendo un approccio didattico e didascalico, e dove il massimo di interazione coincideva con l’essere condotti per mano nello studio di qualche protagonista della scena artistica (frequente risultava la modalità del ritratto del grande artista). Schermo come catalogo, sicuramente critico, ragionato e di profilo culturale e tonicità intellettuale assai elevati (al riguardo, appare illuminante il confronto con l’oggi, ça va sans dire…), ma dove l’attributo principale dell’opera d’arte raccontata consisteva nella sua passività, e si traduceva in una forma di oggettualità da contemplare. La televisione elettrodomestico immagazzina l’arte e la sottopone a un’operazione di stoccaggio, molto museografica, realizzata da intellettuali e specialisti e rivolta a spettatori la cui matrice comune è l’appartenenza alla categoria e alla condizione macluhaniane dell’uomo tipografico.

Il superamento di questo approccio nella divulgazione culturale passa (come molto altro) per l’avvento delle dinamiche della postmodernizzazione, nella quale i media hanno ricoperto una serie di funzioni determinanti, facendosene cassa di risonanza, ma anche attori diretti e “in prima persona” (se vogliamo ipostatizzarli, e qualche buona ragione in proposito c’è). Nel gigantesco e contraddittorio (perché di paradossi sono lastricati i suoi percorsi) bouillon de culture del postmodernismo (anzi, naturalmente, “dei” postmodernismi), come sottolinea il critical theorist Peter Carravetta, si diffonde una «[…] critica d’arte che incomincia con l’opera, ma poi decolla per i territori della teoria. Negli anni ottanta a un livello più ampio di riflessione si teorizzavano la trasfigurazione del luogo comune, come lo aveva definito Arthur Danto, e la presunta fine del pittore, rimpiazzato dal critico».1 Se l’arte perde la sua



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